Faccia pulita su coscienza sporca


Don Oreste Benzi è morto ieri notte, venerdì 2 novembre, Commemorazione di tutti i defunti. Preparandosi a questa ricorrenza liturgica, aveva scritto questa breve riflessione su un brano di Giobbe (19,1.23-27): «Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio». È la differenza fra chi crede e chi no.
Don Benzi era diventato un’icona nel nostro Paese, in particolare a Perugia. Tra il santo e il sognatore, il cavaliere errante e il Don Chisciotte, il pacifista e il rivoluzionario, l’osservante devoto e il populista provocatore. La sua talare a grembiule da seminario d’altri tempi, i suoi capelli bianco a caschetto, le sue processioni con megafono incorporato sulle vie della prostituzione tra le donnine in fuga e i carabinieri come scorta, hanno riempito di quando in quando i nostri teleschermi. Ma se ‘di quando in quando’ era sugli schermi, sulle strade egli c’era sempre, in un modo o nell’altro, anche quando la TV e la stampa non si occupavano di lui. Rimane di lui la figura amabile e profetica d’un Don Chisciotte che ha cambiato veste, deponendo l’armatura del guerriero errante per riprendere l’abito del seminarista che spazzava il corridoio durante gli anni della teologia.
Un Don Chisciotte cui ci si può avvicinare con la curiosità del lettore di libri d’avventura o di evasione, o con l’animo attento del lettore che sa scavare tra le parole e le figure alla ricerca dei significati profondi, proprio come accade al Don Chisciotte di Miguel De Cervantes o al Pinocchio di Collodi: figure che, sfidando il grottesco e l’ingenuo, diventano “tipi” per sempre, immortali: prototipi umani indistruttibili che non vedremo mai passeggiare sulle nostre strade su scala di massa. E, di questi prototipi, Don Oreste era uno dei meglio riusciti.
Purtroppo né l’occhio né l’orecchio possono soffermarsi su quell’ammirevole icona, subito distratti e richiamati come siamo da altre voci e da altre maschere ben più minacciose. Sono le urla d’una donna che viene aggredita nel buio, in una periferia romana: rapinata, violentata, massacrata, trascinata e abbandonata ancora viva a pochi metri dal luogo del delitto.
Sono le grida di sdegno di protesta di odio dell’Italia ‘per bene’ che grida a tutta voce «dalli al rom» come il «dalli all’untore» di manzoniana memoria. Né si limitano a gridarlo il “dalli” (tradotto: dagli, picchialo, massacralo, ammazzalo), ma le botte gliele danno davvero: così la squadraccia (fascista? nazista? perbenista? moralista?: fate voi), s’organizza e nel giro di 24 ore si equipaggia di passamontagne, bastoni e coltelli e giù a massacrare di botte quattro ignari indifesi rumeni – uno grave, gli altri tre ricoverati – che va a sapere chi sono e che certo non c’entrano niente col fatto in questione.
Dall’altra parte d’Europa sono le voci dei rumeni di Romania che condannano senza riserve il gesto di quello sciagurato che da solo ha fatto più male ai rumeni d’una battaglia perduta, perché adesso a migliaia saranno i rom e i rumeni espulsi dal nostro Paese e da altri Paesi europei sulla scia, e assai più impervi e difficili saranno i canali d’accesso all’ ‘america’ italiana, miraggio agognato da loro come l’America (vera) era agognata dai nostri emigranti di fine ‘800-inizio ‘900.
Voci che ci rinfacciano con altrettanta chiarezza di quanta ne usiamo noi contro di loro, per il trattamento riservato in Italia dai nuovi schiavisti della tratta delle bianche, ingannate e sedotte con promesse di lavoro in Italia e poi violentate malmenate seviziate per indurle ad accettare la condizione di prostitute di strada a loro riservata dal racket; oggi quel grido suonava: «noi dobbiamo vergognarci, è vero, per la morte di Giovanna; ma voi italiani dovreste restare in inginocchio per tutta la vita, perché i vostri maschi sono loro che finanziano il racket della prostituzione: loro sanno bene chi sono, da dove vengono e come sono trattate quelle ragazzine, quelle minorenni a cui chiedono le più ripugnanti prestazioni di sesso, senza nessun riguardo per i loro 16–17 anni rubati, violati, profanati, bruciati che nessuno potrà mai restituir loro».
O forse sì, uno c’era riuscito: quel buffo Don Chisciotte in grembiule nero, la voce un po’ roca, velata, sempre sull’orlo dell’afonia, che riusciva sempre a trovare i toni e gli accenti giusti per ridare speranza. Lui, don Benzi, che per primo aveva intuito che solo rimpatriando quelle ‘bambine’ prima che a farlo fosse la polizia, restituendole alle loro famiglie, avrebbero potuto trovare un porto sicuro, un nido tranquillo nel quale, ritrovata la serenità del cuore, impegnarsi a ricostruirsi un futuro, a rifarsi una verginità dell’anima (l’unica che veramente conta) che le renda capaci di guardare al futuro con occhi ‘vergini’.
Soprattutto per questa tua opera di apripista, di pioniere d’un mondo più umano noi ti ringraziamo, caro don Oreste, e ti raccomandiamo: intanto che contemplerai «l’infinito di Dio», non dimenticare di lanciare ogni tanto un’occhiata sulla terra dove in tanti piangono, soffrono, si drogano, si prostituiscono ancora: schiavi e schiave di quel peccato originale che, al di là d’ogni mitologia, è costituito dal fatto d’essere nati ‘Umani’.
P.S. Caro don Oreste, hai sentito? che ti dicevo? Un studentessa inglese sgozzata come un agnello sacrificale, seminuda su un letto, in un vecchio appartamento di Perugia. Una di più, solo una di più, nel calcolo ormai senza fine di violenza sulle donne, spesso con seguito di morte, al ritmo di due al giorno, nel Bel Paese. Veniva da una festa (Alloween: nessuna festa più adatta al macabro rito di sangue), era in compagnia d’un giovane che certamente conosceva e di cui lei si fidava: zac! un colpo solo, alla gola. Lo ‘scherzetto’ della strega burlona ha avuto successo.

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