Contraddittorio al Prof. Dawkins


Ho già prestato attenzione un paio di volte a questo nome. L’«ateo più famoso del mondo» lo dicono in molti. Etologo inglese, biologo evoluzionista, divulgatore scientifico tra i più seguiti nel mondo, è anche (proprio per questo ne parlo) uno dei più zelanti apostoli dell’ateismo militante.
Il suo ultimo libro ha un titolo che in italiano suona ambiguo, L’illusione di Dio. Detto così, infatti, potrebbe sembrare che a illudersi sia Dio stesso. In inglese, all’orecchio d’un italiano, suona anche peggio, The God delusion; se non conosci bene l’inglese, penseresti anche qui che il deluso sia Dio. In realtà il termine inglese delusion, nell’accezione che Dawkins fa sua, significa proprio illusione, «falsa credenza persistente, nonostante forti prove a sfavore, in particolare come sintomo di disturbo psichiatrico» (p.18). Egli però va anche oltre, dicendosi d’accordo con R.M. Pirsig…: «La delusion di cui è vittima una persona è chiamata malattia mentale; la delusion di cui sono vittime molte persone è chiamata Religione» (p. 18).
Dunque la fede e la religione non sarebbero solo errore filosofico-scientifico, una risposta sbagliata ai problemi posti dalla scienza; sarebbero essenzialmente un fatto patologico, un sintomo di gravi disturbi di natura psichiatrica! Convinto di questo, l’illustre biologo s’è dato una missione: liberare gli umani dalla malattia di Dio, uno dei più perniciosi contagi dell’umanità, dal cui condizionamento solo «chi è abbastanza intelligente» riesce a guarire da solo (p. 18).
Dal canto suo egli, apostolo di un universo senza Dio, ha scritto il suo libro, sorta di bibbia dell’ateismo militante, proprio per aiutare chi non è “abbastanza intelligente” per emanciparsi da solo da questo pernicioso errore. Il premio più bello che lui si attende dalla sua fatica? Che uno che apra questo libro per semplice curiosità, lo chiuda da ateo convinto e felice. Io l’ho aperto ma credo ancora in Dio. Almeno per ora. Forse non sono abbastanza intelligente. O ne ho letto ancora troppo poco.
Ma anche Dawkins ha una sua fede: egli è convinto che l’umanità e tutta la condizione degli umani sarebbero di gran lunga più felici se si riuscisse a seppellire Dio e la sua stessa idea sotto le macerie provocate dalla sua ingombrante presenza nella storia. Si legga questa lunga citazione, di cui mi scuso, ma che considero essenziale per comprendere il Dawkins-pensiero.
«Immaginiamo, con John Lennon, un mondo senza religione. Immaginiamo un mondo senza attentatori suicidi, senza 11 settembre (attentato alle Torri gemelle), senza 11 marzo (Madrid), senza 7 luglio (Londra). Immaginiamo un mondo senza crociate, cacce alle streghe, congiure delle Polveri (Inghilterra 5.11.1605; tutte le parentesi sono mie), spartizioni dell’India, guerre israelo-palestinesi, massacri serbo-croati-musulmani, persecuzioni degli ebrei “deicidi”, “disordini” dell’Irlanda del Nord, “delitti d’onore”, telepredicatori con capelli cotonati e abiti sgargianti che spillano quattrini agli allocchi (“Dio vuole che diate fino a farvi male”). Immaginiamo un mondo senza talebani che distruggono statue millenarie, senza decapitazioni pubbliche di bestemmiatori, senza fustigazioni di donne ree di avere mostrato un centimetro di pelle. A proposito, il mio collega Desmond Morris mi informa che a volte in America la splendida Imagine di John Lennon viene espurgata della frase “and no religion too” (e anche senza religione). In alcuni casi hanno addirittura la sfrontatezza di correggere il testo con “and one religion too” (e una sola religione)».
Come sarebbe bello un mondo senza tutte queste stragi e questi orrori perpetrati in nome di un Dio che neppure esiste? Provo a dirglielo io al grande Accademico di Oxford come sarebbe bello un mondo senza tutto questo. Sarebbe un mondo che conoscerebbe le delizie della Siberia di Stalin e dei campi di concentramento di Hitler, della rivoluzione culturale cinese e dell’annessione del Tibet da parte della stessa Cina; che conoscerebbe le carezze dei kmehr rossi in Cambogia e nel Vietnam, le godurie della dittatura in Birmania e delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki; i milioni di morti delle guerre “di civiltà” dell’antica Roma, di Alessandro Magno, di Gengis Khan, di Napoleone; le campagne e le guerre coloniali della Spagna e del Portogallo (cattolici), dell’Inghilterra (protestante), della Francia (francese e basta), dove Dio non c’entrava per niente, ma c’entrava tutto il resto (petrolio, diamanti, legname, avorio…).
Immaginiamo poi come sarebbe bello il nostro mondo se non si morisse più per Allah o per Cristo, ma solo per l’alcol e la droga delle stragi del sabato sera, per le guerre di mafia e di camorra, per fame e per sete (a decine di milioni ogni anno), per aids, malaria, lebbra (le medicine ci sono, ma mancano i soldi per comprarle, dato che il ricco Occidente non rinuncia ai brevetti). E come sarebbe bello il mondo se i suoi modelli invece di Francesco d’Assisi o del dott. Albert Schweitzer fossero il cannibale Idi Amin Dada o il principe Vlad Tepes III Dracula, Signore di Transilvania, grande impalatore di uomini vivi al cospetto dei quali e al suono delle cui urla di dolore soleva banchettare con ospiti e amici.
E immaginiamo come sarebbe bello un mondo dove si può morire come Meredith a Perugia, come Giovanna a Roma, come quegli studenti falciati dal diciottenne della santa barbara fatta in casa che si proclama evoluzionista (proprio come Dawkins) e che voleva ammazzare tutti gli esemplari umani imperfetti per dare una mano all’evoluzione.
Per la verità un attimo di resipiscenza Mr. Dawkins ce l’ha quando dice: «Se predominasse la religione raffinata dei Tillich e dei Bonhoeffer, il mondo sarebbe sicuramente migliore e io avrei scritto un altro libro. La triste verità è che quella religione pacata e onesta è numericamente trascurabile» (p.5). Non proprio, Prof. Dawkins; e in ogni caso, perché non uniamo le nostre forze per renderla ‘numericamente’ più consistente? Non crede che il mondo potrebbe guadagnarci?

Chi è più dogmatico

Richard Dawkins
L’ateismo è un’aspirazione non soltanto realistica, ma anche nobile e coraggiosa. Si può essere atei felici, equilibrati, morali e intellettualmente appagati (p.13)
Il mio quarto appello riguarda l’orgoglio di essere atei. Non bisogna scusarsi di essere atei. Bisogna al contrario andarne fieri, a testa alta, perché “ateismo” significa quasi sempre… mente sana toutcourt (p.16)
Dinanzi all’inarrivabile pretesa di rispetto da parte della religione, il mio libro risulterà inadeguato. Non farò di tutto per offendere, ma non tratterò la religione con i guanti e non userò più gentilezza di quanta ne usi per qualsiasi altra cosa (p.37)

Carlo Maria Martini
Bisogna dunque accettare di dire a riguardo di Dio alcune cose che possono sembrare contraddittorie: Dio è colui che ci cerca e insieme colui che si fa cercare. È colui che si rivela e colui che si nasconde.
Sollecitati anche dalle parole del Cantico «l’ho cercato e non l’ho trovato» , ci poniamo il problema dell’ateismo o meglio dell’ignoranza di Dio. Nessuno di noi è lontano da tale esperienza: c’è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere. Su questo principio si fondava l’iniziativa della «Cattedra dei non credenti» che voleva di per sé «porre i non credenti in cattedra» e «ascoltare quanto essi hanno da dirci della loro non conoscenza di Dio» (Corsera, 16/11/2007)

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