Ave, Maria di Campello sul Clitunno


Sarò grato a lungo (già, perché non sempre?) a Mariano Borgognoni, certamente noto a molti dei miei (non so quanti) lettori a causa degli importanti incarichi istituzionali ricoperti nell’ambito della Provincia di Perugia di cui è stato anche presidente, per avermi dato l’occasione di conoscere la dolcissima, serena e rasserenante figura di Sorella Maria di Campello sul Clitunno, donna umile e grande come sanno essere grandi solo gli umili, quelli che non finiranno mai con l’essere ingombranti.
Già, perché questo garbato Signore, oltre a ricoprire delicati ruoli politici e a coltivare interessi di sociologia di cui è docente all’Istituto Teologico di Assisi, si diletta anche a scrivere libri, e li scrive anche molto bene, e la loro lettura riesce sempre gradita grazie proprio al garbo e alla godibilità della sua prosa.
Ma questa volta ha fatto di più. Ha compiuto un’opera altamente meritoria di cui tutta la terra umbra dovrebbe essergli grata perché è andato a riesumare, è il caso di dirlo, una figura di donna che umbra non era, ma che aveva scelto l’Umbria come suo ultimo approdo, per farne al tempo stesso un eremo e un punto di attrazione, di solitudine e di irradiamento, di preghiera e di testimonianza, di pace e di sollecitudine verso tutti, specialmente i più lontani, i più tormentati. Così quel vecchio convento francescano di Campello, già di Sant’Antonio Abate ma da lei ribattezzato ‘Rifugio San Francesco’, dove già avevano soggiornato o vissuto dei santi (S. Francesco di Paola, S.Giovanni da Capistrano, San Bernardino da Siena), abbandonato da tempo e ormai in rovina ma tenuto in piedi quasi da una predestinazione, ha visto arrivare un giorno una piccola ‘allodola’ in cerca d’una zolla per nidificare. Dietro di lei un piccolo stormo di “allodole” gentili, come lei amava dire di sé e del suo piccolo gruppo di compagne, mai più d’una quindicina. Da quella solitudine Sr. Maria, quasi senza mai muoversi da Campello, ha saputo mantenere e continuare a tessere una rete che ha abbracciato il mondo. I suoi corrispondenti, spesso tenacemente cercati e mantenuti con fedele costanza, andavano dall’Europa all’Africa, dall’America all’Asia, e questi rapporti erano sempre con grandi spiriti: il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Albert Schweitzer, Paul Sabatier ecc. E poi gli italiani: Ernesto Bonaiuti, Primo Mazzolari, Giovanni Vannucci, Davide Maria Turoldo, Aldo Capitini e si potrebbe continuare per molte righe ancora ma pur sapendo di far torto a chi non è stato nominato, devo fermarmi qui, non senza ricordare i perugini Don Luigi Piastrelli e Don Canzio Pizzoni, anch’essi coinvolti nel movimento modernista. Amicizie spesso scomode, che non di rado le verranno rinfacciate, fino a provocare la proibizione ai preti di salire all’eremo a celebrarvi messa, fino a negare alla comunità di conservare nella loro casa l’Eucaristia, e questo a causa dei suoi rapporti con Bonaiuti e con gli altri esponenti del movimento modernista. Questa specie di ‘scomunica soffice’ verrà ritirata solo negli ultimi anni della vita della ‘Minore’. Sorella Maria morirà il 5 settembre 1961.
Credo che ai miei lettori, a questo punto interesserà più sentire il respiro di questa donna «selvatica e libera» che un grande storico del cristianesimo ha incluso tra le più interessanti figure del Novecento italiano.
Sorella Maria è una figura ricca, complessa e tuttavia affascinante, perché la sua complessità è ricchezza, non complicatezza ; la sua disarmante umiltà e il genio mistico che la caratterizza le hanno consentito di anticipare molte delle luminose intuizioni che caratterizzeranno il pontificato di Giovanni XXIII; e questo già dai duri tempi dell’ «apologetica dell’inimicizia», cioè della frontale contrapposizione tra un pensiero cattolico arroccato in difesa e un pensiero antagonista e aggressivo, ereditato dal liberalismo, dallo scientismo e dal positivismo del XIX secolo. Contro questa inimicizia dichiarata, essa predicava una «fraternità riverente» tra cattolici e i fratelli ‘diversamente cristiani’, i ‘fratelli separati’ del Papa Buono. Ma lei preferiva chiamarli altrimenti: «fratelli» e basta, o «fratelli nel Signore», con i quali auspicava una «diversità riconciliata» che si accontenta di ciò che unisce, lasciando ai tecnici della teologia le dispute su ciò che divide.
La piccola famiglia dell’eremo diventa, nell’intenzione e nello spirito di Sorella Maria una specie di icona anticipatrice di quello che dovrebbe, e che dovrà essere un giorno, la Chiesa: una «famiglia sconfinante», cioè una famiglia che tiene e sente sempre presenti anche quelli che non sono in quel momento in casa, e che pure sono e restano parte della famiglia mistica dell’eremo. Ciò le permette di lanciare un ponte per il dialogo anche con il pensiero ‘laico’ con il quale auspica un rapporto di «simpatia adulta», fatta di spirito di tolleranza, di rispetto, di collaborazione.
Ora lascio del tutto la parola a Sorella Maria e al suo “cantico delle creature”, il suo canto d’addio al mondo, al suo mondo, all’eremo:
«Addio a voi tutte creature dilette, che mi avete aiutato a vivere, dandomi purificazione, lezione, e consolazione.
Addio montagne di cui ho avuto sempretale appassionata nostalgia!
Addio fiumi e ruscelli mio sospiro.
Addio fratelli alberi, addio vite vergine e vitalba.
Addio cari fiori. Addio mille volte cari fiori azzurri! Quanto vi debbo! Quanto ho trpidato per voi, quanto ho sofferto con voi creature tutte… Salendo dalla solitudine alle stelleporterò con me il ricordo di voi.
Communicantes in eterno!
Addio Eremo, addio virtù antica dell’Eremo!
Addio rocca di fortezza e di pace, ove è nascosto il fuoco sacro!
O Eremo, fra te e la Minore un segreto che porterò con me e che è stato una terribile prova ed una forza di fede e di purificazione.
Addio chiesina, addio piccolo coro della comunione mattutina e del lucernarium.
Addio chiostro più poverello del mondo.
Addio corridoio delle celle, addio pura semplicità azzurra, addio stanza comune, addio mensa fraterna, addio madia del pane, addio gigli, cari figli dell’ordine santo, addio a ognuna di voi celle abitate dalle mie creature, addio Santa Fina di cui non sono degna. Perdono. Grazie. Vigilerò sempre!
Addio cimitero sul monte!
Addio tomba della figlia di pace coi tuoi umili fiori, ove ho sempre trovato refrigerio e chiarità e luce, anche quando vi salivo stanca!
Addio pini, addio tenda azzurra del cielo.
Addio vecchia croce valdostana, addio silenzio profondo del nostro campicello di pace!
»
Davvero, qui c’è tutto Francesco.

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