Assisi: il miracolo e la tentazione


Chiunque abbia la ventura di giungere in vista di Assisi, che venga da occidente (Perugia) o da sud Foligno, la prima impressione è quella del miracolo, della visione. O più semplicemente della visione miracolosa. Specialmente se vi arriva alle prime ore di un mattino di sole, la pianura pervasa di una nebbia sottile che lascia spuntare solo le cime delle torri o dei campanili, delle cupole e delle case più in alto sul colle: allora la visione è assolutamente magica. D’incanto.
Non ti meravigli certo, allora, di trovare le sue strade piene di gente, come al Mont Saint-Michel, come a San Marino. Tutte le razze, tutti i colori, tutte le fogge dei vestiti, tutte le lingue vi sono rappresentati. Vi respiri il mondo. In quei volti leggi il piacere, l’orgoglio di essere lì, proprio lì, pensa!, in quella città d’incanto che da sempre attira tanta gente, re e sapienti, principi e santi, cristiani e “infedeli” come una volta si diceva, tutti a cercarvi qualcosa – cosa, forse, non sanno : l’arte, la natura, la santità, la fede, la poesia, il mito, la memoria forse…o la speranza. E tutto questo legato a un nome, a un nome solo, quello di Francesco, quello dell’uomo più declamato e meno imitato del mondo, il padre che neppure i suoi figli osano seguire alla lettera sulla strada di quella sua santità impervia, impossibile: eccelsa come una vetta himalayana, dove manca perfino l’ossigeno e dove solo i Reinhold Messner possono salire con le loro sole forze, i Santi appunto; e tutti gli altri si accontentano di accamparsi alla base della grande piramide che solo raramente riesci a contemplare libera dalle nubi, ma quelle poche volte che la vedi bastano a riempirti di tanto desiderio e coraggio che ti senti pronto ad affrontare anche l’inferno dell’ultimo strappo.
Da che viene ad Assisi tale fascino e tale seduzione? Può bastare davvero, a spiegare l’incantesimo, la figura di quello straccioncello che dopo aver conosciuto i piaceri e il lusso del figlio del ricco mercante ha fatto la scelta della più feroce povertà che l’uomo abbia mai saputo infliggersi? Possedere niente, conservare niente, mai pensare al domani, mangiare solo quello che rimedi giorno per giorno andando di casa in casa a mendicare gli avanzi delle mense, cercare la tua felicità solo nel sole, nel gelo, nella fame, nel disprezzo dei tuoi simili o tra le spine dei rovi tra i quali ti rotoli per sconfiggere gli ardori della tua giovane carne? E se tale è il fascino che si sprigiona da questo repellente modello di homo novus, com’è che la ‘sua’ regola non è durata neanche il tempo della sua breve vita senza subire sostanziali, ancorché sfumate modifiche? Questa è la strana sorte dei santi: sulla loro santità e sulla loro spesso crudele mortificazione vivono e prosperano e fanno monumentali fortune famiglie religiose, villaggi e addirittura intere città. La loro fame ha saziato molte generazioni di commercianti, di imprenditori, di artigiani, di ciarlatani e farabutti.
Guardando da lontano Assisi, mentre ti avvicini al suo ‘beato colle’ puoi anche pensare tutto questo, ma non puoi sottrarti tuttavia al fascino di quel fraticello dal saio logoro e rattoppato a coprire un corpo nudo e straziato dalle privazioni e da quelle piaghe che il suo amatissimo Signore e Maestro gli aveva impresso quasi dono di mistiche nozze. Un fascino a cui sono sensibili imperatori e papi, sapienti e incolti, mistici e peccatori.
Il culto di Francesco d’Assisi non si è mai spento attraverso i secoli e non gli sono mai mancati appassionati discepoli. Ma è almeno dal tempo della celeberrima Vita di San Francesco di Paul Sabatier che l’interesse e lo stesso culto per il Poverello ha ritrovato una straordinaria primavera. Decine di vite e saggi sul Santo in tutte le lingue, decine di nuove famiglie religiose, maschili e femminili, che si rifanno al suo nome e alla sua figura, Uomini di varie religioni, dall’Europa all’America, all’India; diversi fra loro per fede, per cultura, per razza tutti si dicono soggiogati, vinti da quell’uomo inerme che non ha altra arma che la sua parola con la quale predicare l’amore, l’abbandono delle armi e la misericordia di Dio. Uomini come il Mahatma Gandhi e Aldo Capitini in molti ne rimasero contagiati, e a San Francesco è stato avvicinato anche Albert Schweitzer. Ma è proprio dall’ultimo quarto del secolo scorso che tale rinascita francescana ha conosciuto il suo exploit più clamoroso. Le ragioni possono essere diverse e io cercherò qui di segnalarne solo un paio, senza nessuna pretesa di completezza.
Intanto, una nuova coscienza dei pericoli cui va incontro il nostro pianeta – e dunque la vita stessa dell’uomo – ha reso più acuta l’esigenza d’una cura e d’un amore più attenti alla nostra comune «matre terra» contro cui nessuno di noi si trattiene dallo scagliare veleni e ordigni distruttivi e mortali. La nuova coscienza ecologica ha indotto a cercare e produrre simboli immediatamente percepibili e condivisibili, e Francesco ne è diventato forse il più riconosciuto e amato da qualsiasi uomo di qualsiasi religione, filosofia e Weltanschauung. Apostoli di questa estensione ecumenica del francescanesimo, sembra giusto riconoscerlo, sono stati i frati francescani del Sacro Convento, che negli anni Settanta hanno saputo concepire e attuare una mossa di grande valore profetico. Si ricorda qualcuno di quelle sparute delegazioni di ‘fraticelli’ che si fecero portatori di messaggi di pace ai Quattro Grandi del mondo d’allora, grandi protagonisti della politica mondiale USA, URSS, Gran Bretagna e Francia? A metà tra il patetico e il commovente, fra l’ingenuo e la mitomania, la reincarnazione di Francesco alla corte del Sultano. Il mondo però se ne accorse e non negò loro qualche simpatia e attenzione. Il messaggio ai grandi si dilatò al mondo intero, latori sempre i frati, e dell’iniziativa si cominciò a parlare come di segno provocatorio e profetico. La cosa, soprattutto, non dovette sfuggire al più grande protagonista di quel tempo, il papa di Roma Giovanni Paolo II, che proprio ad Assisi volle si riunisse la prima grande assise di preghiera ecumenica transreligiosa, quel 26-27 ottobre 1986, che resterà segnata fra le grandi «date della speranza» della storia moderna. Da quel giorno Assisi divenne luogo- simbolo di pace per il mondo intero e cominciò la sua irresistibile crescita di popolarità e di attrazione.
Sempre da allora, però, Assisi non è stata più la stessa. La sua straordinaria forza di attrazione si è esercitata in tutte le direzioni: i più grandi artisti fanno a gara per essere presenti a suonare, a cantare, a leggere nella basilica superiore di S. Francesco; le opere d’arte figurative si moltiplicano e si incontrano ormai dappertutto, anche se non sempre si tratta di cose egregie e di più d’una si farebbe volentieri a meno; colonne di autobus provvedono a scaricare folle di turisti, assai più numerosi dei pellegrini, sulle strette vie e nei vicoli della cittadina, con grande pregiudizio del suo misticismo ormai assai più dichiarato che avvertibile; e si potrebbe continuare.
Vorrei mi si credesse: scrivo tutto questo senza la minima acredine, solo con una grande trepidazione: la sfida ingaggiata è tale da incutere apprensione e timore (redoutable direbbero i francesi con un termine che gli invidio): chi la vincerà? Sarà il Poverello o quell’immondo Re Mida che è il ‘Turismo di Massa’: «veni, imaginem luce expressi, iterum discessi» (solo per chi non conosce nulla del latino venni, fotografai, ripartii ). Il turismo di massa, che è nemico di moltissime cose, anche dei musei, è un vero killer del Pellegrinaggio. Tutto va consumato in fretta, un segno di croce, un’indulgenza e via! Certo per la città è la pacchia, per la pietà certamente una perdita.
Ma c’è un altro pericolo, ancora molto più grave, che sembra incombere. Qui nessuno ha colpe, i frati meno di tutti. È un pericolo insito nelle cose, nello spirito del nostro tempo, del mondo che ci circonda e ci strangola. Lo esprimo nella maniera più brutale possibile: chi la spunterà fra il vecchio Gesù di Nazaret, irrimediabilmente ‘lento’ col suo parlarci del Cielo, e il giovane Francesco, irresistibilmente ‘rock’? Non si gridi allo scandalo, per favore, e ci si chieda invece perché Francesco riempie di sé le scene dei teatri mentre le chiese si svuotano. E perché, chi ama tanto Francesco, spesso non sente nessun trasporto per Gesù che, pure, per Francesco era tutto. Ma per tentare una risposta avrei bisogno d’altrettanto spazio. Sarà per una prossima volta.